Che l’avvenimento più importante accaduto nella valle di Canale nel corso del XIX secolo sia stata la lunga lotta tra il Vanoi e il Rebrut trova conferma anche nei racconti che ci tramandarono oralmente i nostri vecchi.
Le popolazioni che abitavano nella valle in quello sfortunato periodo, trascorsero momenti di ansia e di spavento e tanto soffersero, che attribuirono al Rebrut e al Vanoi la capacità di pensare, volere e agire, e fecero partecipare alla loro contesa persino alcuni esseri immaginari: i “sanguanei” e i “giganti delle cime”. I sanguanei sono uomini di bassa statura e con lunghe braccia; vestono di rosso e portano in testa un ampio cappello nero; sono forniti di un lungo bastone bianco e di una piccola lampada sempre accesa. I giganti delle cime assomigliano a uomini molto grandi e con gambe smisuratamente lunghe; indossano vestiti del colore delle montagne e portano sul capo un grande cappello bianco.
Ecco, secondo la tradizione, come si svolsero i fatti.
Nel 1793, in una giornata temporalesca, il Rebrut compie la prima provocazione spingendo fino nel Vanoi due piccole frane. Il torrente fattosi grosso e rumoroso, si adira e porta subito via con sé il materiale caduto nei suoi gorghi. In questa circostanza sono stati visti nell’alto Rebrut due sanguanei che si affaticavano, manovrando il bianco bastone, a fare dei buchi nel terreno perché si impregnasse di pioggia e poi franasse.
Trenta anni più tardi, durante un furioso temporale, il Rebrut cala addosso al Vanoi un’altra frana di notevoli dimensioni. Questo, colto di sorpresa, batte e ribatte le sue onde spumose contro l’improvviso ostacolo, ma alla fine deve arrendersi e trasformarsi in un piccolo lago. Secondo alcuni osservatori anche questa volta i sanguanei, diventati ormai una decina, avevano aiutato il Rebrut facendo con il bastone dei profondi buchi nel terreno e poi scavando attorno ad essi delle “rode” perché l’acqua piovana scorresse a riempirli.
Nell’anno 1825 il Rebrut scaricava sul fondovalle quella enorme frana sulla quale si trovanoi masi dei “Giaroi”. Il Vanoi tira indietro le sue acque e poi le lancia furibondo verso la nuova diga, chiede aiuto ai torrenti soprastanti, ma non riesce a spuntarla; la sua corsa impetuosa si smorza lentamente nel lago che, un po’ al giorno, si alza di una ventina di metri e si distende fino a Pralongo. I sanguanei, apparsi nelle “Grave” ancora più numerosi, correvano velocissimi in tutte le direzioni a far rotolare sassi e a muovere piccole frane; parlottavano fra loro e si facevano segnali con le lampade.
A questo punto intervengono i giganti delle cime. Temono valle e che, quindi, gli uomini si spingano più verso l’alto, nel loro regno. Cominciano perciò a mettersi d’accordo sul mondo di aiutare il Vanoi a rompere lo sbarramento del Rebrut. Durante i temporali si parlano da una cima all’altra mescolando le voci al rumore dei tuoni. Sopra le “Grave” emettono grida speciali e fanno strani rumori per spaventare i sanguanei. I più anziani della popolazione, i quali sanno distinguere le voci dai tuoni, guardano verso le montagne e brontolano preoccupati: “Stemo atenti, fioi, parchè i giganti del Boalon (o delle Tognole o dei Laghetti o dei Laibi – a seconda della località dia cui venivano i rumori) i lava do le mastele”.
Nel 1826 infatti approfittando di un lungo periodo di piogge, essei attuano il piano stabilito. A un determinato segnale tutti rovesciano nei torrenti che scendono verso il lago l’acqua della propria grande caldaia. Le acque del lago si gonfiano, premono contro lo sbarramento del Rebrut, producendo una grande rottura attraverso la quale irrompono tumultuosamente verso il basso, distruggendo le frazioni di Pone e Remesori.
Poiché il Rebrut e i sanguanei erano riusciti a chiudere di nuovo la diga, nel 1829 i giganti tornano a dare una mano al Vanoi, il quale si riapre la strada e corre verso la Cortella, atterrando la chiesa parrocchiale di Canale e portando via alcuni campi e due case ai Pianazzi.
La lotta tra Vanoi e Rebrut prosegue con la vittoria ora da una parte e ora dall’altra, fino al 1877. Da tale anno sembra che il Vanoi e i suoi amici giganti abbiano deciso di rassegnarsi alla presenza del lago. Le sue acque si fanno azzurre e tranquille. In esse si pescano trote. Presso il torrente che esce dal lago viene costruita una sega. Ma ai sanguanei non garba che nella natura e tra gli uomini regnino la calma e la serenità. Alcuni perciò lasciano le “Grave” del Rebrut e vanno in cerca di un altro posto dove far malanni. Lo trovano sui fianchi del monte Cauriol, nella zona della malga Laghetti. Da qui nel 1882, al termine di una stagione assai piovosa in tutto il Trentino, fanno precipitare sul fondovalle una grande frana che chiude il passaggio del torrente e causa la formazione di un lago.
I giganti delle cime, allarmati oltremodo per tale fatto, accorrono in grande numero, anche dai monti di Primiero, della val di Fiemme e della Valsugana, a portare acqua nel nuovo lago. In poche ore viene riempito; poi l’acqua trabocca, squarcia la frana, scende rovinosamente verso Caoria, dove demolisce case e sventra campagne, si fa massa enorme e si versa con grande impeto nel lago di Pralongo. Le acque di questo si alzano furiose, scavalcano lo sbarramento del Rebrut, scavano nello stesso un solco largo e profondo circa venti metri e si scaricano con rumore assordante verso le “Giare”, recando danni gravi, considerati la maggior calamità di quell’anno nella provincia. Del lago rimase ancora per un certo tempo un po’ d’acqua, poi più nulla.
I sanguanei furono notati di quando in quando, anche dopo il 1882, a far cadere dei sassi e delle piccole frane nelle “Grave” del Rebrut, ma dopo qualche anno, forse disturbati dai ragazzi che conducevano le capre e le pecore al pascolo nelle “Grave” e dintorni, si notarono sempre meno, fino a che scomparvero del tutto.
I giganti delle cime, soddisfatti di aver validamente collaborato alla distruzione del lago di Pralongo, non si fanno più sentire dopo il 1882. C’è chi asserisce di averne visto qualcuno spaventare le bestie sulle malghe durante i temporali, fino al 1915, anno in cui dovettero allontanarsi dalle nostre valli causa la guerra.
Testo tratto da "La Valle del Vanoi" di Ferruccio Romagna